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La Sicilia di Ciaula e la luna


La porta dell’Inferno di Michael Cavalieri
di Carmelo Fucarino 04 febbraio 2023

In genere la storia della Sicilia dal punto di vista economico si è da sempre identifica come terra dell’agricoltura, «il granaio della repubblica, la nutrice al cui seno il popolo romano si è nutrito» (Catone, in Cic., Verrine II, 2, 5).
Così Enna con il tempio sulla rocca era la città del mito di Demetra e poi di Cerere, divinità agrarie della fertilità dei campi. Ancora i feudi per tutta la storia medioevale e moderna vivevano di tale commercio con i caricatoi sparsi sulle sue coste.Quasi ignota è stata la sua storia economica mineraria, turistica appena la visione delle sue saline.

Eppure da bambini abbiamo sentito il venditore di zolfanelli, che a settembre vanniava i “surfareddi”, stoppini di cotone immerso nello zolfo fuso, usati per solforare le botti di legno contro l’acidità. E mio padre a primavera insulfarava le viti per preservarle dal parassita oidio. Sconoscevo che con il metodo Le Blanc si fabbricava la soda e in seguito la polvere da sparo, meno ancora l’uso delle “botti”, che con le esalazioni di cinabro alla fine del Seicento si curava la sifilide. Eppure vicina al mio paese Prizzi, radici anche di Joe Sciame, c’era Lercara con le sue zolfatare, oggi divenute Museo. I genitori di Frank Sinatra nonostante questa industria furono costretti ad emigrare negli USA cf. La voce di NY. https://lavocedinewyork.com/people/nuovo-mondo/2015/12/11/centanni-di-the-voice-il-12-dicembre-1915-nasceva-frank-sinatra).

L’industria dello zolfo era stata l’unica ricchezza industriale della Sicilia tra Ottocento e Novecento e interessava il cuore dell’isola tra le province di Caltanissetta, Enna e Agrigento, fino a Lercara. Oltre all’uso locale il minerale nell’800 fu esportato in Francia e Inghilterra per la produzione di polvere da sparo. Per la sua estrazione era sfruttata la manodopera minorile con il metodo del “soccorso morto”, il prestito di circa 100-150 lire, data alle famiglie dei “carusi”, debito da scomputare con il misero salario e difficile da estinguere.

Poi la scoperta di vasti giacimenti in Louisiana e Texas e date le sabbie mobili del terreno l’invenzione del processo Frasch, che permetteva l'estrazione dagli strati profondi mediante l'iniezione nel sottosuolo di acqua surriscaldata. Il nostro zolfo divenne perciò poco concorrenziale, anche se l’estrazione resistette fino agli anni ‘70.
Fu una storia di orrore passata nell’indifferenza, nell’umiliazione e nella sofferenza estrema, perché in questo lavoro furono occupati i “carusi”, i bambini in tenera età. Nessuna rivolta contro simile tortura, neppure una manifestazione di sciopero, nonostante la nascita di qualche sindacato. Come se tutto fosse un fatto naturale. Il film di Michael ci dimostra quanto lo sfruttamento fosse oltre i limiti dell’umana sopportazione.

Ad eccezione dell’inchiesta La Sicilia nel 1876 di Franchetti e Sonnino, solo la letteratura si occupò dell’inumano impiego di “carusi” a cominciare dai due geniali siciliani di inizio Novecento, noti a tutti gli studenti, Giovanni Verga con la novella Rosso Malpelo (Vita dei campi campi, 1879-1880) e Luigi Pirandello con la novella Ciaula e la luna (1912), il ragazzo-cornacchia, simbolo di quella vita senza cielo, ispiratrice la miniera "Taccia Caci" di Aragona dove lavorò suo padre. Poco nota l’altra sua novella Il fumo (in Novelle per un anno). La famiglia di Luigi era di condizione agiata proprio per il possesso di miniere di zolfo. Luigi, intorno al 1886, aveva aiutato il padre Stefano in tale commercio e conosciuto il mondo dei carusi e dei facchini delle banchine del porto mercantile. Nel 1903 l’allagamento e la frana della zolfatara paterna di Aragona, nella quale era stata investita parte della dote della madre Antonietta, li portò al lastrico, Antonietta alla pazzia.

Poi tutta una serie di poesie e di canti, che vogliamo riportare, a conferma dell’appassionata testimonianza che ha voluto darci Michael, figlio mai dimentico di questa terra madre, in onore del nonno Agatino Alibrandi di Limina, alla cui storia si è ispirato, già in quel grido commovente del film, Ritornato, a cominciare da Alessio Di Giovanni di Cianciana (1872-1946), poeta e drammaturgo, con i suoi Sonetti di la surfara:
«... Scìnninu, nudi, ‘mmezzu li lurdduma
di li scalazzi ‘nfunnu allavancati;
e, ccomu a li pirreri s'accustuma,
vannu priannu: Gesùzzu, piatati!...
Ma ddoppu, essennu sutta lu smaceddu,
grìdanu, vastimiannu a la canina,
ca macari “ddu Cristu” l'abbannuna».

Carlo Levi nel libro Le parole sono pietre. Tre giornate in Sicilia, (1955): «il 18 giugno, un ragazzo di diciassette anni, Michele Felice, un "caruso" che lavorava nella miniera, venne schiacciato da un masso caduto dalla volta di una galleria, e morì. È un fatto frequente: anche il padre del morto aveva avuto una gamba schiacciata da una frana, nella zolfara. Alla busta-paga del morto venne tolta una parte del salario, perché, per morire, non aveva finito la sua giornata; e ai cinquecento minatori venne tolta un'ora di paga, quella in cui avevano sospeso il lavoro per liberarlo dal masso e portarlo, dal fondo della zolfara, alla luce. Il senso antico della giustizia fu toccato, la disperazione secolare trovò, in quel fatto, un simbolo visibile, e lo sciopero cominciò.».

E Sciascia in Le parrocchie di Regalpetra (1991)
«Pròvati, pròvati a scendere per i dirupi di quelle scale — scrive un regalpetrese — visita quegli immensi vuoti, quel dedalei andirivieni, fangosi, esuberanti di pestifere esalazioni, illuminati tetramente dalle fuligginose fiamme delle candele ad olio: caldo afoso, opprimente, bestemmie, un rimbombare di colpi di piccone, riprodotto dagli echi, dappertutto uomini nudi, stillanti sudore, uomini che respirano affannosamente, giovani stanchi, che si trascinano a stento per le lubriche scale, giovinetti, quasi fanciulli, a cui più si converrebbero e giocattoli, e baci, e tenere materne carezze, che prestano l’esile organismo all’ingrato lavoro per accrescere poi il numero dei miseri deformi. E quando dalla notte della zolfara i picconieri e i carusi ascendevano all’incredibile giorno della domenica, le case nel sole o la pioggia che batteva sui tetti, non potevano che rifiutarlo, cercare nel vino un diverso modo di sprofondare nella notte, senza pensiero, senza sentimento del mondo.»

Per finire con Ignazio Buttitta che si rivolge A li matri di li carusi
«Matri chi mannati li figghi
a la surfara iu vi dumannu
pirchì a li vostri figghi
ci faciti l’occhi si nun ponnu vidiri lu jornu?
Pirchì ci faciti li pedi
si camminunu a grancicuni?
Nun li mannati a la surfara
Si pani un nn’aviti
scippativi na minna
un pezzu di mascidda pi sazialli
disiddiraticci la morti chiuttostu
megghiu un mortu mmennzu la casà
stinnicchiatu supra un linzolu
arripizzatu ca lu putiti chianciri
e staricci vicinu.
Megghiu un mortu cunzatu
supra lu lettu puvireddu
di la vostra casa
cu la genti ca veni a vidillu
e si leva la coppula
mentri trasi.
Megghiu un mortu dintra
ca vrudicatu sutta la surfara
cu vuatri supra dda terra a chianciri
a raspari cu l’ugna
a manciarivi li petri
a sintiri lu lamentu
e nun putiricci livari
di ncoddu li petri
chi lu scafazzanu
Facitili di surfaru li figghi!».

230204-michael-cavalieri
Michael Cavalieri

Ecco, di questo si occupa Michael Cavalieri nel suo docufilm, il lungometraggio La porta per l’Inferno, protagonista il Parco minerario di Floristella Grottacalda, agli svincoli autostradali di Mulinello ed Enna, premio a Chicago e New York dalla Columbus Citizen Foundation.

Questa era la metafora di Booker Taliaferro Washington «I am not prepared just now to say to what extent I believe in a physical hell in the next world, but a sulphur mine in Sicily is about the nearest thing to hell that I expect to see in this life.», p. 214.

Non so se da questa definizione ha tratto il titolo del suo film Michail Cavalieri, ma comunque è un’immagine che stupisce per la sua crudezza, ma anche per la vasta diffusione della conoscenza della vita delle “surfare” siciliane nell’arte e nella letteratura mondiale. Pensate, era nato schiavo a Hale’s Ford (5 aprile 1856 - Tuskegee, 14 novembre 1915), al centro della Virginia Occidentale schiavista, affrancato ancora bambino dopo aver svolto diversi umili lavori, fu educatore, oratore e scrittore, ma soprattutto promotore e simbolo di quella lotta per l’eliminazione della schiavitù dei neri, punto di riferimento per la comunità afroamericana dell'epoca, tante lauree e primo nero ad essere ospitato alla Casa Bianca. La guerra civile americana, a noi nota come guerra di secessione americana, era stata combattuta dal 12 aprile 1861 al 23 giugno 1865.

Grazie, Michael, per questo sconfinato amore per la terra degli avi: «Non bisogna mai dimenticare le proprie origini, ricordate sempre le persone che si sono sacrificate e hanno sofferto per darci la possibilità di una vita migliore».

230204-Guttuso
Renato Guttuso, La Zolfara



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    «... Scìnninu, nudi, ‘mmezzu li lurdduma
    di li scalazzi ‘nfunnu allavancati;
    e, ccomu a li pirreri s'accustuma,
    vannu priannu: Gesùzzu, piatati!...
    Ma ddoppu, essennu sutta lu smaceddu,
    grìdanu, vastimiannu a la canina,
    ca macari “ddu Cristu” l'abbannuna».

    Carlo Levi nel libro Le parole sono pietre. Tre giornate in Sicilia, (1955): «il 18 giugno, un ragazzo di diciassette anni, Michele Felice, un "caruso" che lavorava nella miniera, venne schiacciato da un masso caduto dalla volta di una galleria, e morì. È un fatto frequente: anche il padre del morto aveva avuto una gamba schiacciata da una frana, nella zolfara. Alla busta-paga del morto venne tolta una parte del salario, perché, per morire, non aveva finito la sua giornata; e ai cinquecento minatori venne tolta un'ora di paga, quella in cui avevano sospeso il lavoro per liberarlo dal masso e portarlo, dal fondo della zolfara, alla luce. Il senso antico della giustizia fu toccato, la disperazione secolare trovò, in quel fatto, un simbolo visibile, e lo sciopero cominciò.».

    E Sciascia in Le parrocchie di Regalpetra (1991)
    «Pròvati, pròvati a scendere per i dirupi di quelle scale — scrive un regalpetrese — visita quegli immensi vuoti, quel dedalei andirivieni, fangosi, esuberanti di pestifere esalazioni, illuminati tetramente dalle fuligginose fiamme delle candele ad olio: caldo afoso, opprimente, bestemmie, un rimbombare di colpi di piccone, riprodotto dagli echi, dappertutto uomini nudi, stillanti sudore, uomini che respirano affannosamente, giovani stanchi, che si trascinano a stento per le lubriche scale, giovinetti, quasi fanciulli, a cui più si converrebbero e giocattoli, e baci, e tenere materne carezze, che prestano l’esile organismo all’ingrato lavoro per accrescere poi il numero dei miseri deformi. E quando dalla notte della zolfara i picconieri e i carusi ascendevano all’incredibile giorno della domenica, le case nel sole o la pioggia che batteva sui tetti, non potevano che rifiutarlo, cercare nel vino un diverso modo di sprofondare nella notte, senza pensiero, senza sentimento del mondo.»

    Per finire con Ignazio Buttitta che si rivolge A li matri di li carusi
    «Matri chi mannati li figghi
    a la surfara iu vi dumannu
    pirchì a li vostri figghi
    ci faciti l’occhi si nun ponnu vidiri lu jornu?
    Pirchì ci faciti li pedi
    si camminunu a grancicuni?
    Nun li mannati a la surfara
    Si pani un nn’aviti
    scippativi na minna
    un pezzu di mascidda pi sazialli
    disiddiraticci la morti chiuttostu
    megghiu un mortu mmennzu la casà
    stinnicchiatu supra un linzolu
    arripizzatu ca lu putiti chianciri
    e staricci vicinu.
    Megghiu un mortu cunzatu
    supra lu lettu puvireddu
    di la vostra casa
    cu la genti ca veni a vidillu
    e si leva la coppula
    mentri trasi.
    Megghiu un mortu dintra
    ca vrudicatu sutta la surfara
    cu vuatri supra dda terra a chianciri
    a raspari cu l’ugna
    a manciarivi li petri
    a sintiri lu lamentu
    e nun putiricci livari
    di ncoddu li petri
    chi lu scafazzanu
    Facitili di surfaru li figghi!».

    230204-michael-cavalieri
    Michael Cavalieri

    Ecco, di questo si occupa Michael Cavalieri nel suo docufilm, il lungometraggio La porta per l’Inferno, protagonista il Parco minerario di Floristella Grottacalda, agli svincoli autostradali di Mulinello ed Enna, premio a Chicago e New York dalla Columbus Citizen Foundation.

    Questa era la metafora di Booker Taliaferro Washington «I am not prepared just now to say to what extent I believe in a physical hell in the next world, but a sulphur mine in Sicily is about the nearest thing to hell that I expect to see in this life.», p. 214.

    Non so se da questa definizione ha tratto il titolo del suo film Michail Cavalieri, ma comunque è un’immagine che stupisce per la sua crudezza, ma anche per la vasta diffusione della conoscenza della vita delle “surfare” siciliane nell’arte e nella letteratura mondiale. Pensate, era nato schiavo a Hale’s Ford (5 aprile 1856 - Tuskegee, 14 novembre 1915), al centro della Virginia Occidentale schiavista, affrancato ancora bambino dopo aver svolto diversi umili lavori, fu educatore, oratore e scrittore, ma soprattutto promotore e simbolo di quella lotta per l’eliminazione della schiavitù dei neri, punto di riferimento per la comunità afroamericana dell'epoca, tante lauree e primo nero ad essere ospitato alla Casa Bianca. La guerra civile americana, a noi nota come guerra di secessione americana, era stata combattuta dal 12 aprile 1861 al 23 giugno 1865.

    Grazie, Michael, per questo sconfinato amore per la terra degli avi: «Non bisogna mai dimenticare le proprie origini, ricordate sempre le persone che si sono sacrificate e hanno sofferto per darci la possibilità di una vita migliore».

    230204-Guttuso
    Renato Guttuso, La Zolfara



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